Parmenide

Parmenide nasce ad Elea tra il 550 e il 450 a.C. Egli è considerato il massimo esponente delle scuola eleatica, o perlomeno dei filosofi che vissero ad Elea a quel tempo. Elea, fu una città campana a sud di Paestum.

A discapito di quanto pensasse Nietzsche su Talete, Parmenide è considerato il primo vero filosofo da Platone e Aristotele. In continuità con i filosofi ionici considera la realtà come un tutt’uno, omogeneo, eterno, continuo. Ma se ne discosta nelle soluzioni. Fu il primo che si pose la domanda (e diede la sua risposta) sull’essere e l’ontologia.

L’essere e il non essere di Parmenide

“L’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere”.

Tale espressione, quasi una filastrocca o uno scioglilingua, in maniera semplicistica ha sempre cercato di riassumere il pensiero di Parmenide. La traduzione è adattata ma ci apre la strada al suo pensiero.

“E’ necessario che tu apprenda ogni cosa,
sia il fondo immutabile della verità senza contraddizioni,
sia le esperienze degli uomini, nelle quali non è vera certezza.”

(DK 28 B1, trad. G. Casertano)

Il punto di partenza della filosofia di Parmenide è che bisogna avere conoscenza di tutte le cose. Distinguendo, però, due piani, due sentieri percorribili. Ovvero:

  1. quello di ciò che è (to eòn), il campo delle verità immutabili; è il sentiero della verità, basato sulla ragione
  2. E quello delle cose che sono (ta eònta), il campo delle esperienze umane e particolari; è il sentiero delle opinioni, basato sui sensi.

La via delle Verità: l’essere.

“Orbene ti dirò e tu ascolta attentamente le mie parole,
quali vie di ricerca sono le sole pensabili:
l’una [che dice] che è e che non è possibile che non sia,
è il sentiero della Persuasione (giacché questa tien dietro alla Verità);
l’altra [che dice] che non è e che non è possibile che sia,
questa io ti dichiaro che è un sentiero del tutto inindagabile:
perché il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile),
né lo puoi esprimere.”

(DK 28 B2, trad. P. Albertelli)

Parmenide ci ha dunque indicato una sola strada, quella dell’essere. Al di fuori di questa strada c’è quella del non essere, ovvero delle cose che non sono, che sono inconoscibili ed inesprimibili.

Bisogna dire e pensare ciò che esiste. Infatti è possibile che solo esso esista
mentre il nulla non esiste: su questo ti invito a riflettere.

DK 28 B6 tra. G. Casertano

Gli attributi dell’essere

Dopo averci indicato la via, Parmenide si sofferma nello spiegare quali sono gli attributi dell’essere.

“Rimane ora solo da parlare della via
che esiste: su questa via vi sono molti segni,
in relazione al fatto che, ciò che è, è ingenerato e indistruttibile.
E’ infatti compatto nelle sue parti e immutabile e senza un fine a cui tendere:
non era né sarà, poiché è ora un tutto omogeneo,
uno, continuo.”

(DK 28 B8 trad. G. Casertano)

L’essere è:

  • ingenerato e indistruttibile. Poiché se fosse generato presupporrebbe una condizione di non essere precedente, allo stesso modo non può “morire”. (In quanto proprio termini come morire o vivere non sono applicabili come segni nei confronti dei “ciò che è”)
  • immutabile e immobile, poiché mutando passerebbe da continui stati di non essere, ad altri di essere. Esso è uno e omogeneo.
  • eterno. “Non era, né sarà”. Non soggiace alla temporalità, esso è in un eterno presente.
  • finito. In quanto la finitudine è simbolo di compiutezza.

In sintesi e conclusione possiamo affermare che alla base della via dell’essere vi sono due principi della logica fondamentali:

  • il principio di identità, secondo il quale ogni cosa è uguale a se stessa (es: A è uguale A -> “l’essere è”),
  • il principio di non-contraddizione, secondo cui è impossibile che una cosa possa essere contemporaneamente ciò che non è e ciò che è. (es: A non è non A -> “l’essere non può non essere”)

Il non essere

Dall’altro lato troviamo invece la strada che ci porta all’inganno, quella degli “uomini con due teste”, il non essere. “Gente che non sa giudicare”, dice Parmenide. Questo è il mondo delle esperienze sensibili, dove non regna più la Verità, ma solo l’apparenza e le opinioni. Per questo “uomini con due teste”, uomini incerti, che non sono in cammino verso la verità. L’emblema della dualità, rispetto a ciò che era l’uno dell’essere. Tale mondo, quello dei mortali, è spiegato proprio da due forze: il fuoco e la notte.

“Da una parte il fuoco fiammeggiante e chiaro come il cielo,
benevolo, leggerissimo, dappertutto identico a se stesso
ma non identico all’altro; dall’altra parte […] la notte oscura, di massa densa e potente.”

DK 28 B8, trad. G. Casertano.

Essere, pensiero e linguaggio

“infatti è la stessa cosa pensare ed essere.”

DK 28 B3, trad. G. Casertano

Dalle constatazioni sull’essere si può riconoscere un elemento fondamentale: il pensiero. Pensare è creare collegamenti, dare unità al molteplice, ordine al disordine, conoscere. Il Pensiero che pensa l’essere è in analogia a l’essere che è pensato dal pensiero.

Essere e pensiero sono un tutt’uno con l’aspetto del linguaggio. D’altro canto, l’ontologia parmenidea nasce dal fatto che la parola “è”, è l’unica che, nel momento in cui viene pronunciata, afferma nel contempo l’esistenza di un contenuto nella mente. Rimanendo in ciò, in quanto costruzione artificiale, sottostante al pensiero.

Parmenide ed Eraclito

In base a queste indicazioni possiamo comprendere il frequente rinvio a Eraclito, da parte della storia della filosofia.

C’è da premettere che fu spesso oggetto di critica la sua logica. Essa veniva accusata di immobilizzare la realtà e da qui il soprannome di “stasiòtes” (l’immobilizzatore della realtà). Una logica che per questo andasse contro il senso comune, contro il divenire delle cose.

I due filosofi sono stati spesso, e talvolta in maniera non appropriata, messi a confronto. E’ chiaro come ci siano delle profonde diversità di pensiero. In particolare le due concezioni tra il divenire eracliteo e la rettitudine di pensiero di Parmenide. In base a queste interpretazioni si attribuì ad Eraclito il famoso “panta rei”.

Ma risulta ancora più chiaro che queste siano banali semplificazioni. I pensieri di entrambi i filosofi, come abbiamo ben constatato, hanno differenti peculiarità, che li inseriscono in un orizzonte ben più ampio.

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