Platone: la Vita e il Pensiero

Platone, soprannome di Aristocle (da Platos che significa letteralmente “fronte ampia”, segno denotante d’intelligenza) nasce ad Atene nel 428 a.C. Dopo la morte del suo maestro, Socrate, compie vari viaggi. Tra i più importanti vi furono le tre volte che si diresse a Siracusa ove strinse una profonda amicizia con Dione. Quest’ultimo cercò di aiutare Platone nella concretizzazione delle sue idee proprio nella città di Siracusa. Nel 387 inoltre fonda l’Accademia, una scuola ad Atene, il cui insegnamento consisteva per lo più in dibattiti tra gli allievi ed il maestro. Morirà nel 347 a.C.

Platone e i Sofisti: il “Gorgia”

Platone nel suo dialogo intitolato proprio come il famoso sofista, presenta una dura critica alla sofistica. Intendendo con sofistica quella forma molto alta di retorica che veniva insegnata in cambio di denaro e prestigio. Nel dialogo, Platone contrappone nettamente le figure di Socrate e di Gorgia. Il primo interroga il sofista senza aver alcuna paura di esser confutato, se questo porta al vero. Il secondo invece basa il suo discorso solo sull’indice di gradimento del pubblico che ne rimane persuaso. La sofistica, rispetto alla filosofia di Socrate, è paragonata alla culinaria nei confronti della medicina. Ovvero, così come il cuoco prepara i suoi cibi in virtù del gusto (e non sempre per la salute); allo stesso modo il sofista sostituisce il filosofo dando al pubblico ciò che vuole astenendosi dalla ricerca del vero.

Teoria delle Idee e della Giustizia nella “Repubblica”

La Repubblica è forse il più famoso dialogo di Platone. Qui egli presenta la “Kallipolis, l’esempio di “bella città” governata dai filosofi, gli unici in grado di poterlo fare per la propria natura. Viene inoltre delineata la “Teoria delle Idee”, in particolar modo nel libro VII sotto forma di allegoria nel Mito della Caverna”. Il filosofo è colui che riesce a vedere “l’in sé” delle cose, ovvero l’idea (in sé). L’idea è quell’oggetto del pensiero che non poggia su null’altro che su sé stesso. Essa è un referente immutabile ed eterno del concetto, ovvero una struttura intelligibile distinta dalle sue apparenze sensibili.

Il problema da cui viene scaturito l’intenso dialogo della Repubblica è la domanda circa il ti esti (“che cos’è?”) della Giustizia. Tra i vari interlocutori interviene Socrate; che interrompe il discorso che stava vertendo non sulla Giustizia in sé bensì sulla sua dimensione opinabile, quella degli interessi personali. Per affrontare un discorso che abbia come oggetto “l’in sé” della Giustizia lascia la prospettiva soggetto-centrica; ed apre il dialogo ad uno spazio più vasto, quello della Giustizia nella città.

L’anima

In questa parte del dialogo Platone paragona la giustizia nella città a quella dell’anima. In quest’ultima come nella città vi sono tre parti:

  • La parte razionale (loghistikon). La quale è dominante nei filosofi, la cui virtù è la sapienza; tale parte è spinta dal piacere dell’apprendimento.
  • La parte aggressiva o collerica (Thymoeides). Dominante nei guerrieri, la cui virtù è il coraggio e il cui piacere risiede nella vittoria. Questa parte è rappresentata allegoricamente come un leone.
  • La parte desiderante (epithymetikon). Dominante nei produttori, la cui virtù è la temperanza che spinge al piacere di procurarsi grandi quantità di denaro, rappresentato allegoricamente come un mostro policefalo.

Sulla base della tripartizione dell’anima e dalla natura degli individui il filosofo è colui che ha il compito di guidare la Kallipolis. Il suo unico piacere è quello dell’apprendere, di sapere utilizzare la ragione, della sapienza, lontano da interessi personali. Nel Fedro la Filosofia si presenta infatti come eros, come quella natura erotica che consente di spiccare il volo.

Nell’ultima opera di Platone, le “Leggi”, rimasta incompiuta, egli riprende il tema della Giustizia; ma al seguito delle sue esperienze a Siracusa ne delinea alcuni tratti in modo più concreto. Non fa più riferimento ad alcuni temi utopici (o distopici); come la figura quasi esclusiva del filosofo al governo della città, all’abolizione della proprietà privata e all’impossibilità di avere una famiglia da chi governa. La figura del filosofo viene sostituita dal loghismos (ragionamento); che porta ogni uomo verso scelte virtuose così come nel governo della città la funzione dell’educazione.

Il Demiurgo di Platone

Tale figura, il “padre e costruttore del tutto” è teorizzata da Platone nel “Timeo”. Egli ha il compito di attribuire alle cose la forma dei modelli ideali. Il Demiurgo non crea nulla, bensì contempla le idee (eterne e immutabili); dalle quali plasma le cose del mondo in una relazione di somiglianza rispetto alle idee. Inoltre, costruisce l’anima del mondo attraverso una mescolanza di “essere”, “identico” e “diverso”. Infatti ogni cosa deve essere identica a sé stessa e diversa da ogni altra; un sistema complesso dal quale derivano l’ordine della composizione dei corpi celesti. Il demiurgo ostruisce il corpo del mondo sulla base dei quattro elementi (acqua, fuoco, terra ed aria); nella giusta proporzione in ogni cosa, conferendo al mondo una struttura matematica.

Il “non essere”

In ultima analisi focalizziamo l’attenzione su un altro dialogo di Platone, il Sofista. In questo dialogo, il protagonista è uno straniero proveniente da Elea, la terra di Parmenide, considerato da Platone il padre dell’ontologia. Egli dimostra l’esistenza del mondo del “non essere”. Ontologicamente il “non essere” è il risultato della partecipazione del diverso in relazione all’essere [due dei cinque “Generi sommi” (Essere, identico, diverso, quiete, movimento)]. Accanto a ciò che è esiste, al mondo del vero, esiste anche il campo delle cose che non sono; ovvero il mondo dell’apparenza e dell’illusione, della menzogna, delle immagini ingannevoli.

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