Eraclito e Democrito nell’arte

Eraclito e Democrito, i due importanti filosofi dell’Antica Grecia, sono sempre stati legati da un’indagine di pensiero affine; della quale, la storia della filosofia se n’è servita a lungo per accomunarli o contrapporli. Arduo compito di cui farsi portatore. Essi però hanno avuto fortuna anche nell’arte, essendo stati scelti da molti artisti come soggetto delle loro rappresentazioni, in chiave squisitamente simbolica.

Bramante

Eraclito e Democrito

Eraclito e Democrito (Donato Bramante)

La prima opera che analizzeremo è quello del pittore e architetto rinascimentale Donato Bramante (1444-1514). Il dipinto “Eraclito e Bramante”, del 1486, oggi è esposto alla Pinacoteca di Brera. Entrambi sono ritratti in abiti quattrocenteschi, l’uno di fronte all’altro e separati da un mappamondo. Eraclito, posto sulla sinistra, è piangente, mentre Democrito, a destra, è rappresentato sorridente. Nel raffigurarli, Bramante si rifà alla tradizione iconografia di un autore poco conosciuto: il vescovo Sidonio Apollinare (430-479 d.C.). Questi testimonia che nel V secolo molti edifici pubblici ospitavano dipinti che opponevano «Eraclito che piange a occhi chiusi» e «Democrito che ride a labbra aperte».

Eraclito e Democrito: Pianto e Riso

Seneca  ne “La tranquillità dell’animo” ci fornisce la genesi di questa tradizionale visione:

Dobbiamo dunque ripiegare sul non trovare odiosi, ma ridicoli i vari vizi del volgo e sull’imitare piuttosto Democrito che Eraclito: questo, ogni volta che usciva in pubblico, piangeva, quello rideva: alluno tutte le nostre azioni parevano misere, all’altro stupidaggini. Dobbiamo, dunque, dar poco peso a tutto e sopportare tutto con indulgenza: è più da uomini ridere della vita che piangerne. In più rende un servizio migliore al genere umano l’uomo che ride che quello che piange: il primo lascia aperto uno spiraglio allo sperar bene, l’altro piange stoltamente su cose che dispera si possano rimediare.

(Seneca, La tranquillità dell’animo, XV, 2-3)

Seneca opera tale distinzione in base all’atteggiamento dei due filosofi nei confronti degli uomini. Ad Eraclito è associato il pianto, come simbolo di turbamento e inquietudine poiché compassionevole alle disgrazie. A Democrito, al quale Seneca ci invita ad affidarci, è associato il riso, in quanto simbolo di un atteggiamento di stabilità e pace interiore. L’atteggiamento di Democrito è considerato virtuoso proprio perché il filosofo ride delle loro vane preoccupazioni, prendendo con leggerezza la vita.

La visione di Eraclito e Democritco da parte di Luciano di Samosata

Un altro riferimento nella cultura letteraria del tempo è ricavato da Luciano di Samosata, scrittore greco del II secolo d.C. Nel dialogo “Vendita di vite all’incanto“, Luciano narra di Giove e Mercurio nell’intento di vendere le vite di alcuni filosofi.  Ritrovatisi di fronte ad uno scrupoloso acquirente, questi chiede di poter interrogare singolarmente i filosofi così da fare le giuste valutazioni. Dialogando con Eraclito, viene a conoscenza che il filosofo oscuro piange il destino degli uomini che non possono sottrarsi all’incessante divenire, incapaci ascoltatori della voce della verità: il “Logos“.

Eraclito: O forestiero, io credo che tutte le cose umane sono triste e deplorabili, e tutte sono soggette alla
morte: però sento pietà di voi, e piango. Il presente non mi par bello; il futuro mi scoraggia assai, e vi dico che il mondo andrà in fiamme ed in rovine. Io piango che niente è stabile, tutto si rimescola e si confonde: il piacere diventa dispiacere; la scienza, ignoranza; la grandezza, piccolezza; tutto va sottosopra, e gira, e cambia nel gioco del secolo.

(Luciano di Samosata, Vendita di vite all’incanto, in Dialoghi)

Dialogando con Democrito, che ride di un riso folle, invece:

Compratore: […] O Zeus, quale contrasto! Uno non cessa di ridere, l’altro sembra che pianga un morto. Ehi tu! Cos’è questo? Perché ridi?
Democrito: Me lo domandi? Perché mi paiono ridicole tutte le vostre cose, così come voi stessi.
Compratore: Come dici? Deridi tutti noi e non tieni in nessun conto le nostre cose?
Democrito: È così: in mezzo ad esse non ce n’è una seria, ma tutto è vuoto e movimento e infinità di atomi.
(Luciano di Samosata, ibidem)

Non più l’imperturbabilità, il fulcro etico di Seneca, ma ciò che caratterizza Democrito è qui la consapevolezza della casualità delle cose e della vita stessa.

Tornando al dipinto di Bramante. Il mappamondo simboleggia il teatro delle passioni umane. I carri allegorici di Saturno e di Giove,  alle spalle di Eraclito e Democrito, alluderebbero ancora una volta ai due umori: quello “saturnino” (chiuso e malinconico) e quello “gioviale” (aperto e allegro).

Rubens

Eraclito e Democrito

Il secondo artista che andremo ad analizzare è il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640). Egli rappresenta Eraclito e Democrito in due quadri distinti ma complementari: il primo a sinistra e il secondo a destra, in modo che i due filosofi non possano rivolgersi lo sguardo. Eraclito è rappresentato come un monaco infelice, piangente e rannicchiato in sé come ci suggerisce la posizione. Democrito, invece, è rappresentato con eleganti vesti, ride e punta l’indice sul globo. Una lettura ben diversa da quella di Seneca e di Rubens. Democrito in questa occasione, puntando il dito al mondo (ridendo) sembra ancora una volta segno di un distacco ironico e ragionato nei confronti del mondo e delle umane preoccupazioni.

Ma la contrapposizione con Eraclito, soprattutto nella posizione e nella gestualità, ci suggerisce un diverso approccio anche nei confronti del mondo. Un’apertura all’altro e alla vita, in uno sfondo di ironica e consapevole distacco. Eraclito è invece chiuso in se stesso, in malinconica meditazione. L’opera può essere letta simbolicamente come l’opposizione tra il Medioevo, contrassegnato dal disprezzo del mondo e dall’intimistico ripiegamento dell’individuo, e la modernità, aperta alla vita e desiderosa di afferrarne e goderne le possibilità.

Ribera

Eraclito e Democrito

Il terzo ed ultimo quadro che vedremo è quello dell’artista spagnolo José de Ribera (1591-1652), detto “lo Spagnoletto”. Ribera raffigura qui il solo Democrito ma capovolgendo l’intepretazione tradizionale. Egli ritrae Democrito come un vecchio con in dosso vesti strappate. Il riso, stavolta, non è per nulla pregno di una fiera e distaccata consapevolezza, ma l’osservatore viene rapito dall’enigmaticità della sua espressione. Il riso diventa inquietante. Il quaderno bianco che il filosofo tiene in mano e mostra allo spettatore, la penna inutilizzata sul tavolo, danno l’idea del nulla. Il riso del saggio di fronte all’insensatezza del mondo ha perso il suo salutare distacco, facendosi anch’esso insensato: dalla follia del mondo e degli uomini, osservata “da lontano” grazie agli strumenti della ragione, si è passati alla follia del filosofo. Il riso ora nasconde il pianto.

A tal proposito, lo studioso tedesco Reinhard Brandt:

Il materialista, che prende tutto per una danza di atomi priva di ragione, dev’essere egli stesso pazzo: infatti, da dove potrebbe venirgli la ragione? Un vortice “casuale” di atomi nello spazio infinito; anche il pensiero in questo mondo non può più essere ragionevole, ma precipita, dopo l’autodiagnosi, nella follia.
(R. Brandt, Filosofia nella pittura, p. 124)

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