Lavorare Stanca – Cesare Pavese

Lavorare stanca è la raccolta che segna l’esordio letterario di Pavese con una serie di poesie. Vi confluirono testi dal 1931 al 1936, stampate per le edizioni di «Solaria» ebbero una scarsissima risonanza. Il libro era composto da 45 poesie. Le quali, a differenza di quanto accadeva negli anni Venti e Trenta, si concentrano su uno «stile oggettivo» che non va svolgendosi su situazioni liriche; bensì, su occasioni narrative, legate – come era ovvio, dati i temi trattati – alla contrapposizione città/campagna. Su questo sfondo si dispiegano personaggi impegnati nella costruzione del proprio io, i quali vivono l’esperienza amara del quotidiano e dei rapporti sociali; arrivando a toccare punte drammatiche, la poesia tende a mostrarsi come una sintesi – buia e grigia – dell’essere.

Riprendendo i lavori giovanili che portano in Pavese un importante avvicinamento alla poesia americana, i testi di questo libro sembrano essere molto vicini alla poetica – realista e simbolista – di Walt Whitman, autore su cui il giovane Cesare incentra la propria tesi. Il verso si svolge con una lunga cadenza iterativa, rallentando il ritmo della lettura. In questo modo Pavese forgia un ‘nuovo’ – se possiamo dirlo – tipo di verso: un «verso narrativo», che succedendosi presenta un andamento armonico, a mo’ di cantilena «primitiva e mitica».

L’esperienza di Lavorare stanca rimarrà isolata in una costellazione che si svilupperà, prevalentemente, in prosa. Dal 1940 l’autore scriverà ancora qualche poesia, ma di carattere più immediato, ove l’ossessione del suo dramma esistenziale diverrà centrale. Tutti questi testi confluiranno nella raccolta postuma del 1951 Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

“L’istinto” da Lavorare Stanca

L’uomo vecchio, deluso di tutte le cose,
dalla soglia di casa nel tiepido sole
guarda il cane e la cagna sfogare l’istinto.

Sulla bocca sdentata si rincorrono mosche.
La sua donna gli è morta da tempo. Anche lei
come tutte le cagne non voleva saperne,
ma ci aveva l’istinto. L’uomo vecchio annusava
– non ancora sdentato -, la notte veniva,
si mettevano a letto. Era bello l’istinto.

Quel che piace nel cane è la gran libertà.
Dal mattino alla sera gironzola in strada;
e un po’ mangia, un po’ dorme, un po’ monta le cagne:
non aspetta nemmeno la notte. Ragiona,
come fiuta, e gli odori che sente son suoi.

L’uomo vecchio ricorda una volta di giorno
che l’ha fatta da cane in campo di grano.
Non sa più con che cagna, ma ricorda il gran sole
e il sudore e la voglia di non smettere mai.
Era come in un letto. Se tornassero gli anni,
lo vorrebbe far sempre in un campo di grano.

Scende in strada una donna e si ferma a guardare;
passa il prete e si volta. Sulla pubblica piazza
si può fare tutto. Persino la donna,
che ha ritegno a voltarsi per l’uomo, si ferma.
Solamente un ragazzo non tollera il gioco
e fa piovere sassi. L’uomo vecchio si sdegna.

L’analisi della poesia “L’stinto”

In questa poesia le immagini tradizionali sono come destrutturate. Il cane e la cagna in ogni strofa assumono forme diverse:

I. L’uomo vecchio guarda il cane attraverso i suoi occhi.
II. L’uomo vecchio e la moglie – nel ricordo – diventano i cani.
III. L’immagine del cane ritorna nel pensiero del protagonista.
IV. Ancora nel ricordo l’uomo vecchio è impersonificato con il cane; ma questa volta la cagna non è sua moglie, bensì una donna non identificata con la quale ha consumato un amplesso.
V. Non ritorna – stavolta – l’immagine del cane, ma vi è un’epifania: subentra il prete, il quale causa sdegno nell’uomo vecchio.

Tema predominante del componimento è – ovviamente – l’amore, più nello specifico è il rapporto sessuale, l’amore erotico. Difatti le due figure femminili (la moglie e l’eventuale amante) sono paragonate alla cagna, figura sicuramente a-letteraria. Poco lirica anche la rappresentazione dell’uomo vecchio che – tolti i punti in cui si instaura il parallelo con la figura del cane – viene presentato come «deluso da tutte le cose» sulla cui bocca posano delle mosche. Dunque, un’immagine lontana dall’eroe pienamente romantico. È certo un periodo storico diverso, problematica risulta la psicologia dell’io lirico rappresentante e del rappresentato.

La ricerca di uno stato primordiale è fortemente collegata alluso di verbi appartenenti al campo semantico istintuale: sfogare, annusare, piacere. In questo modo Pavese trasforma quella che può essere l’esperienza quotidiana di un uomo – ormai anziano, che ricorda con piacere erotico gli amplessi, che rivede il corpo umido dell’amante e dell’amata, ricordando solo per pure piacere – nel mito. Ciò che sarà ricorrente in tutta la raccolta di “Lavorare Stanca”.

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