Pavese – Vita e Opere

Pavese svolge un ruolo fondamentale nel passaggio tra la cultura degli anni Trenta e la nuova cultura democratica del dopoguerra. L’intellettuale è stato prima di tutto un promotore e un operatore culturale. Ciò nonostante, la sua partecipazione al presente si legherà sempre ad un senso lacerante tra letteratura ed impegno politico. Il suo obiettivo (dal punto di vista umano) sarà quello di giungere all’affermazione di sé attraverso la scrittura, conquistando un personalissimo stile e una maturità intellettuale. Questo forte disagio personale e l’incapacità di costruirsi come uomo e come scrittore – lotta che quanto più si avvicina un traguardo tanto più si sgretola – lo porteranno al suicidio.

I passaggi della vita di Pavese sono tutti rinchiusi nel suo diario pubblicato nel 1952. Esso è un interessantissimo documento autobiografico, intitolato Il mestiere di vivere, cominciato il 6 ottobre 1935 e terminato il 18 agosto 1950 con le famosissime parole:

«Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più»

Vita e opere di Pavese

Pavese nacque il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, da famiglia piccolo-borghese. A Torino, dato il trasferimento della famiglia, il piccolo Cesare poté compiere i suoi studi, arrivando nel ’32 alla laurea in lettere con un’importantissima tesi in letteratura americana su Walt Whitman (Questo suo primo lavoro diventerà in verità un interessante collante tra cultura americana ed europea nel più ampio panorama degli studi di traduzione).

Nel 1934 diviene direttore della rivista «La cultura», iniziando anche una collaborazione con la casa editrice Einaudi; viene arrestato un anno dopo a causa dei suoi rapporti con il gruppo Giustizia e Libertà (i quali non erano in realtà legati ad un’attività politica) e dopo il processo, inviato al confino a Brancaleone Calabro. Terminò e pubblicò, in quell’anno di prigionia, il suo libro di poesie Lavorare stanca.

Nel ’37, tornato a Torino, riprende il lavoro editoriale. Ciò nonostante la sua è segnata da una grave tristezza e un pessimismo molto forte, legato alla sua immensa solitudine. Dipoi nel ’42 viene assunto come dipendente dalla casa editrice Einaudi e dopo la liberazione si iscrive al PCI cominciando a collaborare con all’ «Unità».

Il successo e il suicidio

Qualche anno più tardi, nel 1950, arriva per Pavese un successo: riceve il premio strega a Roma per il volume La bella estate. Il successo pubblico gli dava una ritrovata felicità, una sensazione di maturità raggiunta: ma a ciò si opponeva un’incontenibile tristezza dovuta alla presa di coscienza della falsità dei rapporti umani – ciò che si mostrava chiaramente nella difficoltà di vivere i rapporti amorosi. L’idea del suicidio affascinava Pavese dall’adolescenza: un pomeriggio d’estate prese una stanza all’Albergo Roma di Torino e fu trovato morto la sera del giorno seguente per una dose letale di sonnifero: così si conclude la vita di un importantissimo uomo di cultura prima che di un enorme poeta.

I temi

L’opera di Pavese è segnata da un motivo ricorrente: il richiamo dell’infanzia. Ne consegue anche un’attenzione rivolta al mondo campestre, che riporta lo scrittore al suo passato originario ed incontaminato. In questo paesaggio piemontese che disvela le eterne verità della nascita e della morte sembra rivivere in un continuo presente il tempo del mito.

La città d’altro campo rappresenta il movimento, il fare, il costruire, e allontana dalla natura. Il rapporto città-campagna risulta essere contraddittorio: nella campagna la natura rivela la sua vitalità originaria, ciò nonostante si impone come forza cieca; mentre, nella città l’uomo si costruisce come essere sociale e civile, perdendosi, però, nell’artificiosità dell’ambiente.

Su questo sfondo si dispiega il tema dell’adolescenza, centralissimo nell’opera di Pavese. Il problema della costruzione di sé si annoda alla percezione che Pavese ha della letteratura. Costruirsi è innanzitutto trovare uno stile, riconoscere sé stesso attraverso la propria opera e giungere ad una maturità intellettuale. Questo percorso è minato, come detto, dal senso di menzogna e di annullamento che tormenta lo scrittore fino a portarlo al gesto estremo.

L’intellettuale ha inoltre, un bisogno di «socialità», il quale si esprime nella sua formazione culturale. Dei classici amò prevalentemente le forme originarie del mito, la visione del rapporto tra uomo e natura, leggendoli nell’ottica delle moderne scienze umane.

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