Encomio di Elena – Gorgia

L’encomio di Elena è una delle opere più importanti del filosofo e sofista Gorgia. Infatti il discorso è uno degli esempi più interessanti dell’uso della retorica operata dal sofista. Gorgia riprende nell’Encomio di Elena le vicende mitologiche di Elena di Troia. Ella abbandona il marito, Menelao, re di Sparta, per fuggire con Paride a Troia. Secondo la mitologia omerica questo suo gesto fu il casus belli della famosissima “Guerra di Troia“. Il filosofo analizza i casi che l’hanno condotta ad abbandonare Menelao, scagionandola.

L’argomentazione di Gorgia e la visione tragica della vita

Gorgia con la sua retorica analizza tutte le varie possibilità che hanno potuto spingere Elena a compiere quel gesto. I casi che egli analizza sono quattro: per volere del Caso e volere degli Dei; rapita per forza; convinta da discorsi eloquenti e infine per amore. Per quanto riguarda la prima eventualità, il Caso e gli Dei, Elena è del tutto inerme. Gli uomini non possono sfuggire alle decisioni divine. Il caso e la necessità rappresentano i cardini della visione tragica del mondo. Se ella fu rapita, la colpa non può essere della giovane ragazza, bensì del rapitore.

Se fu l’eloquenza e dunque la parola, Elena è stata soggiogata. Tale concezione illusoria della parola, come per la poesia, porta Gorgia a scagionare Elena; questa visione è quella propria del filosofo: lo scetticismo o relativismo conoscitivo (o gnoseologico). L’immane forza e potere persuasivo delle parole; ovvero la concezione secondo cui in base al contesto, esse assumono significati diversi, talvolta contraddittori, talvolta ingannevoli. L’ultima possibilità è ancora legata al logos. L’amore (e la bellezza) sono persuasivi quanto le parole, ti rapiscono con forza senza possibilità di fuggire.

Elena risulta dunque senza colpa. La sua volontà fu soverchiata e soggiogata da forze della quale lei, inerme, non poteva far nulla. L’encomio di Elena oltre ad essere prova dell’abilità retorica del sofista è la rappresentazione della tragicità della vita. La retorica, la contraddittorietà delle parole, è solo uno strumento, quello più proprio, atto al racconto di un mondo dominato dalla tragedia; dalla menzogna; dal destino ignoto ed ineluttabile; l’irrazionalità stessa dell’esistenza.

Il testo dell’Encomio Di Elena di Gorgia

[…] ella fece quel che fece o per cieca volontà del Caso, e meditata decisione di Dèi, e decreto di Necessità; oppure rapita per forza; o indotta con parole, o catturata da Eros (dall’amore).

Se è per il primo motivo [Caso, Dei o Necessità], è giusto che s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divina non si può con previdenza umana impedire. Naturale è infatti non che il più forte sia ostacolato dal più debole, ma il più debole sia dal più forte comandato e condotto; e il più forte guidi, il più debole segua. E la Divinità supera l’uomo e in forza e in saggezza e nel resto. Che se dunque al Caso e alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va dall’infamia liberata.

Rapita

E se per forza fu rapita, e contro legge violentata, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la colpa, in quanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subì una sventura. Merita dunque, colui che intraprese da barbaro una barbara impresa, d’esser colpito e verbalmente, e legalmente, e praticamente; verbalmente, gli spetta l’accusa; legalmente, l’infamia; praticamente, la pena. Ma colei che fu violata, e della patria privata, e dei suoi cari orbata, come non dovrebbe esser piuttosto compianta che diffamata? ché quello compì il male, questa lo patì; giusto è dunque che questa si compianga, quello si detesti.

Indotta con Parole

Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è difficile a scusarsi e a giustificarsi così. La parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò.

Perché bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori. La poesia nelle sue varie forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro; e chi l’ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore; e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere. Ma via, torniamo al discorso di prima. Dunque, gli ispirati incantesimi di parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena. Aggiungendosi, infatti, alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto, questa la blandisce e persuade e trascina col suo fascino. […] se ella fu persuasa con la parola, non fu colpevole, ma sventurata.

Per Amore

Ora la quarta causa spiegherò col quarto ragionamento. Che se fu l’amore a compiere il tutto, non sarà difficile a lei sfuggire all’accusa del fallo attribuitole. Infatti la natura delle cose che vediamo non è quale la vogliamo noi, ma quale è co-essenziale a ciascuna; e per mezzo della vista, l’anima anche nei suoi atteggiamenti ne vien modellata. […] D’altro lato i pittori, quando da molti colori e corpi compongono in modo perfetto un sol corpo e una sola figura, dilettano la vista. E figure umane scolpite, figure divine cesellate sogliono offrire agli occhi un gradito spettacolo. Sicché certe cose per natura addolorano la vista, certe altre l’attirano. Ché molte cose, in molti, di molti oggetti e persone inspirano l’amore e il desiderio.

Conclusioni

Che se dunque lo sguardo di Elena, dilettato dalla figura di Alessandro [Paride], inspirò all’anima fervore e zelo d’amore, qual meraviglia? il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dei la divina potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli? e se poi è un’infermità umana e una cecità della mente, non è da condannarsi come colpa, ma da giudicarsi come sventura; venne infatti, come venne, per agguati del caso, non per premeditazioni della mente; e per ineluttabilità d’amore, non per artificiosi raggiri.

Come dunque si può ritener giusto il disonore gettato su Elena, la quale, sia che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da costrizione divina, in ogni caso è esente da colpa? Ho distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso, che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico.

(DK 82 B 2, trad. it. di M. Timpanaro Cardini, ne I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1981)

 

 

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