La poetica di Leopardi

Leopardi ha trovato gli accenti più intensi e al tempo stesso più diretti per esprimere il male di vivere dell’uomo. Il suo pessimismo non deriva da un’attrazione morbosa per la morte e per la sconfitta. Esso nasce solo come reazione alla delusione di un aspirazione di vita all’insegna della gioia e della pienezza. Il malessere non si manifesta mai come rassegnazione lamentosa. Essa è rivendicazione del diritto alla felicità, protesta e ribellione eroica contro tutte quelle forze che soffocano quel bisogno dell’umanità.

Leopardi arriva a cogliere le tendenze profonde della sua epoca e le conseguenze pericolose che da esse potevano scaturire. L’invito all’amore fraterno e alla solidarietà fra gli uomini come base della vita sociale è il messaggio più alto che egli abbia mai potuto lasciare ai posteri.

Il pensiero di Leopardi

Natura benigna e pessimismo storico

Al centro della riflessione di Leopardi (presente nello Zibaldone) si pone subito un motivo pessimistico, l’infelicità dell’uomo. Questa infelicità risiede nella teoria del piacere. La quale sostiene che l’uomo non desidera un piacere bensì il piacere, ossia un piacere che sia infinito per durata e per estensione. Pertanto, siccome nessuno dei piaceri goduti dall’uomo può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua, un vuoto incolmabile dell’anima. Da questa tensione inappagata verso un piacere infinito che sempre sfugge nasce l’infelicità dell’uomo. Questo è inteso in senso puramente materiale.

La natura viene concepita come madre benigna, attenta al bene delle sue creature, che ha voluto fornire un rimedio all’uomo e alle sue sofferenze: l’immaginazione e le illusioni; grazie alle quali nasconde agli occhi della creatura le sue effettive condizioni. Per questo gli antichi greci e romani, che erano più vicini alla natura, erano felici. In base a ciò si sviluppa la prima fase del pensiero leopardiano, il pessimismo storico. La colpa dell’infelicità presente è attribuita all’uomo che, a causa del progresso si è allontanato dalla via tracciata dalla natura benigna.

Leopardi da un giudizio negativo in particolare sull’Italia contemporanea corrotta e dominata dall’inerzia. Ne deriva dunque un atteggiamento titanico. Il poeta è l’unico depositario della virtù antica, si erge a sfidare il fato maligno. La condizione del presente viene vista come effetto di un progresso e di un allontanamento da una condizione originaria di felicità. Ma non bisogna mai dimenticare che questa è sempre una felicità relativa: essa è pur sempre frutto dell’illusione.

La natura malvagia e il pessimismo cosmico

Questa visione di natura benigna entra in crisi. Leopardi si rende conto che la natura mira alla conservazione della specie e per questo fine può anche sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Il poeta finisce per considerare la natura, non più come madre amorosa, ma indifferente alla sorte delle sue creature. Legge essenziale che regola tale sorte è la conservazione del mondo, una concezione non più finalistica ma meccanicistica e materialistica.

Ora la colpa non è dell’uomo: egli è soltanto una vittima. Da ciò ne deriva la seconda fase leopardiana, il pessimismo cosmico: l’infelicità è vista come condizione assoluta. Ne deriva l’abbandono della poesia civile e del titanismo; e non resta che la contemplazione lucida e disperata della verità. Il poeta assume atteggiamenti stoici, evidente è il distacco imperturbabile della vita, l’atarassia. Tale non è però la scelta decisiva del poeta: di indole ribelle, Leopardi farà ritorno al titanismo, al termine della sua vita.

La poetica del vago e indefinito

Il punto di avvio della poetica leopardiana è la “teoria del piacere”. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può figurarsi piaceri infiniti mediante l’immaginazione; in tal modo la realtà immaginata costituisce l’alternativa ad una realtà vissuta che non è che infelicità e noia. Ciò che stimola l’immaginazione a costruire questa realtà parallela, è tutto ciò che è “vago e indefinito”, lontano, ignoto.

Si viene, così, a costruire una vera e propria teoria della visione: è piacevole, per le idee vaghe e indefinite che suscita, la vista impedita da un ostacolo, una siepe, un albero, una torre, una finestra ecc.. perché allora entra in gioco l’immaginazione. Contemporaneamente, viene a costruirsi anche una teoria del suono. Leopardi elenca una serie di suoni suggestivi perché vaghi, come un canto che vada a poco a poco allontanandosi, lo stormire del vento fra le fronde, il muggito degli armenti che echeggi per le valli.

Il bello poetico secondo Leopardi

A questo punto della meditazione leopardiana si verifica la svolta fondamentale, e la teoria filosofica dell’indefinito si aggancia alla teoria poetica. Il bello poetico, per Leopardi, consiste nel “vago e indefinito”, e si manifesta essenzialmente in immagini del tipo di quelle elencate nella teoria della visione e del suono. Anche certe parole sono poetiche, per le idee indefinite che suscitano: “lontano”, “antico”, “notte”, “eterno”.

Leopardi aggiunge poi una considerazione importante: queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La “rimembranza” diviene, dunque, essenziale al sentimento poetico. Poetica dell’indefinito e poetica della “rimembranza” si fondono. La poesia non è che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria.

Leopardi osserva che, maestri della poesia vaga e indefinita , erano gli antichi: essi, perché più vicini alla natura, erano appunto immaginosi come fanciulli. Questo carattere “fanciullesco” è rivelato dal ricorrere spontaneo di immagini vaghe e ignote. I moderni, invece, per Leopardi, hanno perduto questa capacità immaginosa e fanciullesca. Ai moderni, che si sono allontanati dalla natura per colpa della ragione, e per questo sono disincantati e infelici, la poesia d’immaginazione è ormai preclusa. Ad essi resta solo una poesia sentimentale, che nasce dalla consapevolezza del “vero”e dall’infelicità.

Pur conscio di appartenere a quell’età moderna, e pur accettando il predominio di una poesia fondata sul pensiero e sulla consapevolezza dell’infelicità, che si esprime attraverso il patetico, Leopardi non si rassegna ad escludere il carattere immaginoso dai suoi versi. Così come non si rassegnerà a rinunciare alle illusioni, continuandole a vagheggiare attraverso la memoria e a nutrire di esse la sua poesia.

La differenza tra gli “Idilli”e i “Grandi idilli”

I primi rappresentano la prima parte della poetica leopardiana, è dunque presente il pessimismo storico e la poetica del vago e dell’indefinito. Ne fanno parte “L’Infinito”, “Alla luna”, “La sera del dì di festa”, “La vita solitaria”e “Il sogno”. Gli ultimi invece sono stati composti a seguito del “risorgimento leopardiano”; la ripresa a scrivere liriche dopo 16 mesi di “notti orribili”trascorse nella casa paterna. È presente il pessimismo cosmico e la consapevolezza del vero, mancano slanci titanici.

Le “Operette morali” sono prose di argomento filosofico che segnano l’approdo al pessimismo cosmico. È presente sopratutto il tema dell’arido vero il marcato distacco ironico. Celebre è “Il dialogo tra la Natura e un islandese”.

Il ritorno al titanismo lo si trova ne “La ginestra”, la lirica che chiude il suo percorso poetico. Qui Leopardi cerca di costruire un’idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La consapevolezza della reale condizione umana può indurre gli umili a unirsi per combattere la natura maligna. La ginestra o fiore del deserto rappresenta proprio la pietà verso la sofferenza umana.

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